Quinta udienza – Viene ascoltato il pentito Rocco VARACALLI

“La ndrangheta è un amore platonico, qualcosa che puoi pensare ma non toccare. Non è nulla, è solo una fantasia. Ed è cattiva e traditrice: non ha rispetto e non ha onore” . In questo modo Rocco Varacalli, il pentito dalle cui dichiarazioni è scaturita l’ operazione Minotauro ha definito l’ organizzazione criminale a cui è appartenuto fino al 2006,  durante l’ interrogatorio fiume che si è tenuto venerdi 23 Novembre presso l’ aula bunker del carcere Lo Russo – Cotugno.

Per meglio definire l’ aria che si respirava all’ interno dell’ aula bunker nell’ attesa della deposizione di Varacalli, occorre dire che all’ apertura dell’ udienza Il presidente della Corte, il giudice Paola Trovati ha raccomandato agli imputati e ai loro parenti di evitare qualsiasi tipo di commento durante tutte le fasi dell’ udienza e quando , dopo una battuta, probabilmente involontaria, di Varacalli sulla morte del giudice Bruno Caccia, dalle gabbie e dall’ area destinata ai  parenti si sono alzati dei mormorii e delle mezze risate, la Dott.ssa Trovati non ha esitato a smorzare sul nascere queste manifestazioni ricordando che quella era un’ aula di tribunale e non un cinema.

La deposizione del pentito Varacalli ha ripercorso tutta la sua militanza nella ‘ndrangheta, da quando sedicenne arrivò a Torino da Natile di Careri, per lavorare da muratore apprendista, salvo poi iniziare a spacciare droga perché come le diceva suo zio Pipicella,  “sporcarsi le mani con la calce” era meno redditizio.

Nella sua “carriera” all’ interno della “onorata società” , percorsa quasi sempre nel campo dello spaccio di droga, viene arrestato per ben sette volte e nella scala gerarchica della locale di appartenenza arriva ad essere “picciotto finalizzato”, quindi non un “boss”, ma un membro della “Società Minore”; ma nonostante questo , probabilmente perché ritenuto fidato raccoglie importanti confidenze anche da esponenti della Società Maggiore, quelle confidenze che ha iniziato a raccontare al Dott. Sparagna a partire dal 2006.

Nel raccontare la storia di quegli hanni Varacalli ha ricordato  che quando  è  stato attivato ( è stato affiliato ) a Torino, nel 1994, gli ‘ndranghetisti erano tutti uniti e c’era una locale sola, al cui vertice c’era Rocco Spera ( ‘U Zoppu ), un uomo anziano e zoppo” . Poi, ha spiegato,  negli anni si sono sviluppati diverse locali, riconosciute da San Luca, il cuore della ‘ndrangheta nella Locride.

Varacalli ha spiegato inoltre che  “Le locali non riconosciute si chiamano Bastarda e queste fanno gli stessi traffici della ‘ndrangheta, ma da soli senza fare capo a San Luca”.

Negli anni, ha proseguito il pentito,  si sono avvicendati ai vertici Paolo Cufari, Saverio Napoli, Enzo Argiro’, nominati a San Luca durante la festa di Polsi. Ogni settembre per la festa della beata vergine al santuario di Polsi, si svolge un summit degli ‘ndranghetisti in cui si decidono cariche e strategie. Una sorta di assemblea degli azionisti.

Durante la deposizione Varacalli ha fatto altre due importanti dichiarazioni , che se fossero opportunamente verificate potrebbero aprire nuovi fronti di indagine; ad una richiesta del giudice che domandava se esistessero differenze tra la ‘ndrangheta in Piemonte e quella della “casa-madre” calabrese Varacalli risponde : “A Torino è la stessa cosa che in Calabria, non cambia nulla. La ‘ndrangheta e’ fatta come un polipo. Nasce a San Luca , dove c’è il santuario di Polsi, ma poi ci sono i tentacoli  Oggi può essere più forte la testa in Calabria, domani può esserlo un singolo tentacolo, ad esempio Se a Torino nel 2006 ci sono state le Olimpiadi si è guadagnato di più che in una singola strada in Calabria “.

Viene poi fatto un breve accenno ai presunti rapporti tra la ‘ndrangheta e la massoneria, dice infatti Varacalli : ”I miei parenti e conoscenti mi dicevano che a livello della santa si ha a che fare con la massoneria.Non so altro, è già tanto che me l’hanno detto, hanno violato la regola”

Dopo aver ascoltato questa dichiarazione , il Presidente della Corte Paola Trovati, chiede a Varacalli se quando parla di massoneria si riferisce ad una sorta di Massoneria interna alla ‘ndrangheta .

Il pentito incalza dichiarando che il suo riferimento è alla massoneria quella vera e prosegue : ”la dote di santa è stata voluta non solo per essere riconosciuta dalla ‘ndrangheta ma anche dalla massoneria: chi ha la santa può avere rapporti con giudici, preti, professionisti, sindaci, e così via, che fanno parte della massoneria”.

Successivamente, a seguito della domanda se la locale di Natile di Careri fosse distaccata solo a Torino, lo stesso Varacalli ha parlato di una locale in Australia e di un’ altra presente ad Alessandria, e questo andrebbe in contrasto con la recente sentenza dell’ omologo Processo  Albachiara che ha visto assolti, in primo grado,  tutti gli imputati delle locali del Basso Piemonte , tra cui quella di Alessandria.

Varacalli ha poi motivato la sua dissociazione dalla ‘ndrangheta dicendo che si era pentito per i suoi figli e che si era sentito tradito dalla ‘ndrangheta in quanto, si era sentito abbandonato dagli uomini dell’ organizzazione in due occasioni importanti, a suo dire per invidia per il successo che aveva la sua attività di spaccio.

Dopo una meditazione di alcuni mesi trascorsi in cella, il 17 ottobre del 2006 scrive una lettera al P.M. Roberto Sparagna nella quale dice di voler collaborare e nella quale tra le altre cose scrive “”Ho venduto droga, non ho le mani sporche di sangue ma ho l’anima sporca per aver venduto morte e oggi lo ammetto. Oggi sono qui per collaborare perche’ non ci credo piu’ alla ‘ndrangheta”.

Questa decisione, racconta ancora Varacalli, lo ha allontanato dalla famiglia; prima dal fratello, poi, dopo un primo periodo di vicinanza, anche dalla moglie, che sotto la pressione dei parenti, si allontana dal luogo protetto dove viveva, portando con se anche i due figli di Varacalli.

Varacalli ha poi  raccontato alla Corte delle presunte offerte, ricevute per mezzo dei familiari, dalle ‘ndrine calabresi. Queste lo avrebbero contattato telefonicamente chiedendogli di sparire in cambio di un compenso economico, una sistemazione all’estero e l’immunità, proposte che gli sarebbero state poste nel periodo compreso tra lo scorso maggio e il 28 agosto, giorno in cui fuggì dal luogo protetto in cui si trovava agli arresti domiciliari per raggiungere Castellamonte, a Torino.

Qui era stato latitante, a casa dell’ex suocero, fino allo scorso 10 ottobre, quando i carabinieri lo avevano rintracciato e arrestato.

Durante la deposizione è emerso che al momento dell’arresto il pentito aveva addosso una lettera indirizzata al pm torinese Roberto Sparagna in cui confermava “di avere scelto di restare dalla parte della giustizia”.

Terminata l’ audizione da parte dei P.M. , il presidente della corte concede mezz’ora di pausa e autorizza il diritto di contro-interrogare il teste ad un solo avvocato della difesa che avrebbe dovuto ritornare in Calabria.

Tutti gli altri contro-interrogatori  vengono rinviati all’ udienza di Lunedi 26 Novembre.

One thought on “Quinta udienza – Viene ascoltato il pentito Rocco VARACALLI

  1. stefano Collica

                    Cari ragazzi questi sono piccole fiammelle di luce, su un buio totale di corrotti, e potete leggerlo sulle cronache di tutti i giorni. Vi ricordate Maroni cosa diceva? : Che nessun governo aveva contrastato tanto come il suo le mafie italiane. Mi vien da ridere al pensiero che qualcuno ci credeva o faceva finta di crederci. Queste sono piccole minchiate. In Italia ci sono almeno tre milioni, una mia stia a naso, di persone che non consentono il buon governo, il progresso dell’Italia. Saluti a tutti.

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